giovedì, gennaio 19, 2006

Radicali.it:Castro, la successione non è più un tabù

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Castro, la successione non è più un tabù

• da La Stampa del 11 gennaio 2006, pag. 12

di Mimmo Candito

Sono ancora piccoli segni, questi che arrivano dall'Avana sulla possibile succesione a Castro, e da parte sua lui, Fidel, ripete incrollabile che «un rivoluzionario non va mai in pensione». Però è anche vero che gli slogan del Comandante sono ormai un rituale consumato, una sorta di formula ingessata ma priva di senso, mentre invece in un regime dove «non si muove foglia senza che lui lo voglia» è a quei «piccoli segni» che bisogna saper guardare per cogliere il valore reale di quanto sta accadendo: e allora, la decisione dell'Avana di aprire ai giornalsti e ai diplomatici stranieri la sessione di fine anno del Parlamento cubano, lo scorso dicembre, è stato un segnale che andava decrittato come un atto di forte potenziale politico - qualcosa d'importante doveve accadere, in quella anomala seduta. E così è stato.

Felipe Pérez Roque, brillante ministro degli Esteri, ha pronunciato la frase che spezza la frontiera del tempo: «Noi dobbiamo avere la forza di preservare la nostra vittoriosa Rivoluzione in un futuro nel quale si aprirà un vuoto che nessuno potrà colmare». Era l'annuncio della consapevolezza politica che il regime ha che Castro è comunque, anche lui, un uomo e che le leggi della natura non sono immodificabili nemmeno quando si è il Líder Máximo; ma era soprattutto un annuncio di consapevolezza fatto esplicitamente di fronte alla platea del mondo, una sorta di proclama che doveva raggiungere direttamente tutte le capitali e tutti i media stranieri superando la rigida censura sugli atti ufficiali.

Dire quella frase, farla pronunciare da colui che è considerato il «delfino» di Fidel, convocare formalmente ad ascoltarla diplomatici e giornalisti solitamente tenuti fuori dalla porta, ha davvero mutato la storia contemporanea di Cuba. Castro ha quasi 80 anni, le notizie sulla sua salute sono contraddittorie ma comunque raccontano d'un vecchio uomo sempre più in difficoltà a governare la propria immagine pubblica; e se è pur vero che non esiste alcuna credibile ipotesi d'un suo ritiro a breve, tuttavia le parole di Pérez Roque squarciano il velo delle reticenze ufficiali e dei silenzi di regime, e propongono pubblicamente il problema della organizzazione della successione.

Oggi Cuba ha superato una parte dei suoi gravi problemi economici (la cui origine il regime attribuisce esclusivamente all'embargo americano ma che più credibilmente va ritrovata all'interno d'una gestione centralizzata del sistema); per quanto esistano tuttora fortissimi squilibri, cui la «dollarizzazione» ha contribuito drammaticamente creando due società parallele, ormai gli investimenti turistici e, soprattutto l'aiuto energetico offerto dal Venezuela di Chávez, hanno spezzato l'isolamento dell'Avana consentendo al vecchio Comandante di offrire un quadro di prospettive che stanno aprendo una dinamica inimmaginabile fino a poco tempo fa. Il tasso di incremento del pil è stato, lo scorso anno, di un eccellente 11,8 per cento, e il budget di quest'anno offre un'indicazione di spesa in crescita del 30 per cento. Superato dunque l'affanno d'una crisi che attanagliava il sistema, il regime affronta ora il problema della successione. Dal punto di vista costituzionale non v'è alcun problema formale: successore di Fidel è suo fratello Raúl, 74 anni, primo vicepresidente della Repubblica e secondo segretario del parito comunista.

A questo punto della deriva cubana, nessuno credibilmente, forse neppure i più feroci tra i fuoriusciti che vivono in Florida, osa pensare a una fine di sangue del regime; la successione «naturale» a Fidel assicurerebbe invece un quadro di riferimento politico che promette l'assorbimento del trapasso in uno sfondo di stabilità, e però lascia aperte tutte le soluzioni possibili rinviandole a un tempo meno angosciato dal possibile cambio di regime. Il Dipartimento di Stato, anche per le pressioni della lobby cubana anticastristra, mantiene ufficialmente un atteggiamento segnato da qualche ambiguità, e si dichiara «pronto ad appoggiare Cuba quando si presenterà la inevitabile opportunità di un cambio genuino». Questa «inevitabile opportunità» è, naturalmente, il passaggio dei poteri di Fidel, ma né Condoleezza Rice né Bush pensano all'apertura d'un quadro di destabilizzazione in un tempo nel quale la crisi irachena assorbe ogni attenzione della Casa Bianca.

Piuttosto, quello che appare sempre più credibile negli scenari del futuro è l'accettazione diffusa della successione costituzionale, con un Raúl ministro della Difesa e in controllo pieno dell'apparato militare dell'isola, ma - contemporanemante - con la creazione di una struttura di governo che già oggi lascia intravedere segnali d'una forte disponibilità a processi reali di apertura dell'economia, sia nelle politiche di governo sia nella liberalizzazione delle pratiche quotidiane di vita (il piccolo commercio privato, la nascita d'una rete di produzione e vendita, la ripresa dell'autonomia dei servizi etc.).

E' in qualche modo un riaggiustamento del «modello cinese», e Fidel non ha mai nascosto l'entusiasmo che gli procurava la sua visita a Pechino, con la scoperta dei successi di quell'economia pur in un regime di forte controllo politico. Gli uomini di questa rivoluzione sono persino già pronti: il premier Carlos Lage, il ministro Pérez Roque, il presidente del Banco Central Francisco Soberon, il presidente del Parlamento Ricardo Alarcón. I primi due sono la nuova generazione della Revolución, «fidelista» ma pragmatista. Sono anche il futuro più probabile d'una vecchia rivoluzione che ora ha dichiarato pubblicamente il peso di tutti questi anni.
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