lunedì, maggio 31, 2010

Chavez e Berlusconi, gli strani fratelli dei petro-bolivar “socialisti” - greenreport.it


Chavez e Berlusconi, gli strani fratelli dei petro-bolivar “socialisti”

LIVORNO. Venezuela ed Italia hanno firmato diversi nuovi accordi di cooperazione su infrastrutture, salute ed educazione, ma l'incontro tra il caudillo "comunista" Hugo Chavez e il nostro ministro degli esteri Franco Frattini, accolto come un esponente di un Paese fratello del  bolivarismo socialista, è servito anche a discutere della possibilità di ampliare la collaborazione energetica tra il nostro Paese e la Repubblica socialista bolivarista del Venezuela. Hugo Chavez ha detto ad un estasiato Frattini: «Questa seconda riunione del Consejo Binacional mi pare della massima importanza, questo rafforzamento delle relazioni tra Italia e Venezuela, questa road map di operazione sulla quale bisogna incidere per rafforzare ognuna delle sue colonne, i suoi ambiti e cercare nuovi orizzonti di cooperazione».
Chavez, dopo aver prospettato la possibilità di ampliare l'integrazione energetica italo-venezuelana, ha rivelato di aver ricevuto da Silvio Berlusconi una lettera nella quale «Segnala l'importanza di ricercare meccanismi innovativi di finanziamento e del  tema energetico». L'anticomunismo e l'avversione per la sinistra si annacquano molto durante l'attraversata dell'Atlantico (o dell'Asia verso la Cina ...) e il nostro rigido ministro degli esteri non resiste al fascino dell'immaginifico caudillo venezuelano accusato dal centro-destra venezuelano di essere un duce rosso che conculca la libertà di stampa e politica ed usa il petrolio come arma elettorale: «Sono grato a lei presidente Chavez - ha detto il titolare della Farnesina - per aver voluto dare un impulso politico così importante alle relazioni tra due Paesi fratelli. La stima e il rispetto sono le basi sulle  quali abbiamo firmato gli accordi che ci permetteranno di rafforzare una cooperazione importante economicamente e centrata su infrastrutture, energia, salute e cultura. L'Italia metterà a disposizione del Venezuela la tecnologia necessaria ed aiuterà a cercare nuove forme di finanziamento perché il grande programma che sta realizzando il presidente Chávez possa essere realizzato con l'appoggio delle imprese italiane».
Manca solo il sottofondo dell'internazionale e il grido di "Que viva Bolivar" e poi a Frattini potrebbe essere data una camicia rossa ad onore del Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv).  La tessera del Psuv e magari un invito a partecipare alla prossima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento di Caracas, invece Chavez la darebbe subito a Silvio Berlusconi. Chavez ha fatto una dichiarazione d'amore a Silvio Berlusconi ed al governo di centro-destra: «Invio un grande abbraccio a Berlusconi, al governo italiano e a tutto il popolo italiano che noi venezuelani amiamo», la cosa è stata stranamente censurata dalla Tv chavista Tele Sur che di solito riporta anche gli starnuti del presidente... forse anche loro si sono sentiti un po' imbarazzati
Poi, dopo aver raccontato una serie di improbabili aneddoti personali che vanno dalla cotta per un'italiana a Claudia Cardinale, il caudillo socialista venezuelano è arrivato addirittura a dire che la rivoluzione di Simon Bilivar è stata ispirata dal suo soggiorno a Roma quando «Quando giurò quel 15 agosto del 1805, ispirandosi alle rovine di Roma e alla rivoluzione che visse l'Europa in quel periodo». Che a Roma nel 1805 ci fosse un regno napoleonico, frutto dell'invasione dell'Italia e che aveva solo avuto il merito di cancellare uno stato teocratico, ma aveva spento le speranze della rivoluzione repubblicana francese e del movimento risorgimentale italiano, per Chavez sembra essere un dettaglio.
Frattini, con gli occhi lucidi, non si sa se per l'imbarazzo o per i buoni affari fatti col Venezuela "comunista" ed alleato di quell'Iran per il quale solo pochi giorni fa Berlusconi e lui stesso invocavano sanzioni e cordoni sanitari estesi agli Stati "collaborazionisti", ha detto a Chavez: «Berlusconi le manda un abbraccio grande, segno di amicizia, stima e profondo rispetto». La verità è che anche sul Mar dei Caraibi pecunia non olet, tantomeno i petro.bolivar del socialista Chavez, soprattutto quando si è entrambi molto amici ed ammiratori di uno come Vladimir Putin che mette il gas, il petrolio e la  oligarchia  davanti a tutto, a partire dalla libertà di stampa e dai diritti umani.
Chavez ha accolto Frattini con un bel regalo: ha sbloccato un miliardo e 200 milioni di dollari di pagamenti alle imprese italiane, poi i due hanno sottoscritto un'intesa per la formazione a la capacità tecnica di alcune comunità venezuelane e, come informa Tele Sur, stabilito un rapporto più stretto «tra il Ministerio de Obras Públicas y Vivienda de Venezuela (Mopvi) e il  ministero dell'infrastrutture e trasporti dell'Italia per attuare gli obblighi preventivamente contratti da entrambi i governi nel settore. In più, è sta sottoscritto un protocollo d'intesa per la cooperazione in materia di salute internazionale nei settori oncologia, ematologia e trapianti di cellule staminali ematopoietiche, il che sarà di beneficio ai pazienti in età pediatrica carenti di entrate economiche». E' stato firmato anche un accordo tra l'Instituto hidrológico de Venezuela (Hidroven) e Ente acque della Sardegna  (Enas) per promuovere lo sviluppo di indagini con ‘obiettivo di una migliore gestione delle risorse idriche. L'accordo italo-venezuelano prevede di rafforzare anche i rapporti tra le università dei due Paesi «Fondate sui principi di uguaglianza, reciprocità, solidarietà e sovranità, conformemente agli ordinamenti giuridici di ciascun Paese».
Se si riportasse la data di una ventina di anni, sembrerebbe di leggere uno di quei comunicati dei Paesi fratelli del Patto di Varsavia, se non fosse che qualche nostro vicino è riuscito a fare ancora di più con un Paese che i nostri alleati Usa considerano più o meno un inaffidabile e se non proprio "canaglia" certamente un pericoloso amico degli "Stati canaglia": Infatti, a Francia ieri ha firmato anche un accordo con il governo di centro-destra di Nicolas Sarkozy per una «Collaborazione bilaterale in materia di educazione ed operatività militare», ma qui più che all'amicizia di Berlusconi con i buoni uffici di Putin siamo alla concorrenza Francia-Russia per accaparrarsi il generoso cuore del presidente venezuelano e soprattutto il florido mercato delle armi che Caracas foraggia con il petrolio "socialista" nazionalizzato.

“El propio Fidel era quien protegía a los etarras y guerrilleros en Cuba” - Benigno en "La Gaceta" via cuba.blogspot


París.- “Raúl es mucho peor que Fidel”. Dariel Alarcón Ramírez, alias Benigno, sabe bien de lo que habla porque fue amigo íntimo de los hermanos Castro y sirvió durante 36 años al régimen de la isla. Con tan sólo 16 años conoció a “unos hombres vestidos de uniforme verde oliva, con barba y que cargaban fusiles, cuando acudieron a mi finca en Sierra Maestra pidiendo comida ; yo les abastecí durante varios meses”. Pero cuando la Guardia de Batista se enteró de la inocente colaboración de Benigno con el Ejército Rebelde, los soldados llegaron a su casa y asesinaron a su mujer. “Fue mi ansia de venganza y de hacerme con un fusil lo que me llevó a echarme en los brazos de Fidel Castro, Camilo Cienfuegos y el Che Guevara”. Dariel cuenta en exclusiva a LA GACETA que ocupó varios puestos dentro del Gobierno, entre ellos, coronel de la Inteligencia Cubana y entrenador de extranjeros. “Poco a poco fui viendo cosas que me desagradaban, pero me horrorizaba pensar que Fidel, al que yo quería como a un padre, nos había engañado”.
Aunque consideraba que marcharse de Cuba era un acto cobarde, el tener que vivir entre tanta corrupción “se convirtió en una verdadera tortura”. “Me vigilaban constantemente, pero en el año 1996 conseguí el asilo político en París y me fui”.
-Dice que ahora se arrepiente de haber sido amigo íntimo de Fidel y Raúl, ¿en qué se diferencian los hermanos Castro?
-Aunque el que sigue moviendo los hilos en la isla es Fidel, porque es el inteligente de los dos, el más maquiavélico y el dictador, yo diría que Raúl es mucho peor que su hermano porque para todo utiliza la fuerza. Ha conseguido militarizar a todo el país y estoy seguro de que ya tienen preparado a un sucesor.
-Dicen que la muerte del ex preso Orlando Zapata ha supuesto un antes y un después en la isla, ¿qué papel desempeña la disidencia? ¿Cree que el régimen está en un momento de extrema debilidad?
-Yo considero que la disidencia está realizando un papel extremadamente importante y me siento orgulloso de ser cubano gracias a ellos. Desgraciadamente, muchos de estos grandes luchadores no lograrán ver el fruto de su sacrificio. Sin embargo, estoy seguro de que el cambio llegará a la isla algún día. Por otro lado, los Castro siempre buscan la forma de poder acusar a otros de sus males y de cubrirse las espaldas. Gracias a Gobiernos como el de Chávez y Morales y a los infiltrados que tienen en el extranjero, que les informan de los pasos de los opositores, consiguen mantenerse a flote. El presidente venezolano ayuda mucho a Cuba. De su parte, llegan diariamente a la isla 96.000 barriles de petróleo, que –según Chávez– son gratuitos. Pero eso no es verdad. Esa ayuda se paga con los más de 40.000 cubanos profesionales de distintas ramas que hay en Venezuela.
-Uno de sus primeros trabajos como mano derecha de Fidel tras la revolución fue el entrenamiento a guerrilleros extranjeros. ¿Dónde y cómo llevaban a cabo esta formación?
-Los campos de entrenamiento estaban repartidos por todo el país, pero la base central era la de Pinar del Río. Yo llegué a entrenar a unos 4.000 extranjeros de todas las nacionalidades, de toda América Latina, menos de Costa Rica, porque hasta haitianos he preparado, más los africanos. Ellos llegaron pidiendo ayuda para hacer su revolución. Yo los preparaba militarmente, desde cómo se formaba una base militar hasta el manejo de explosivos; los sacaba de allí hechos unos verdaderos rangers. Éstas eran las escuelas PETI directamente dirigidas por Fidel y por Manuel Piñeiro Losada. Del mismo modo, en distintos puntos de La Habana también se formaba a otro tipo de extranjeros para la lucha urbana. Allí se aprendía a poner bombas en las ciudades, actividades relacionadas con el espionaje, se entrenaba con todo tipo de artefactos, se enseñaba a asaltar bancos...; en definitiva, a desestabilizar las capitales. El objetivo era lograr que ellos, en un momento dado, obtuvieran lo que nosotros habíamos conseguido en Cuba: tener a su propio Fidel. Pero es cuando va pasando el tiempo cuando yo me doy cuenta de lo que verdaderamente se está sembrando en nuestro país: nos enseñaron a tener miedo a todo, a odiar a quien no estaba con la revolución.

Grandeza internacional

-¿Quién iba para la lucha urbana?
-Normalmente, seleccionábamos de cada grupo a 5 ó 6 que reunieran una serie de condiciones para que se ocuparan de la lucha urbana. Al resto se les preparaba para la guerra de guerrillas. En Cuba se entrenó a las FARC, a ELN, Tupamaros, Sandinistas… Gente como el uruguayo Raúl Sendic o como Pedro Antonio Marín Tirofijo, fundador de las FARC.
-¿Entre estos terroristas se encontraban etarras vascos?
-Yo directamente no entrené a ninguno, porque yo me dedicaba a la preparación de guerrillas y allí ellos no estaban. Pero sí conocí a varios vascos en Cuba que se formaban en la lucha urbana. Ellos estaban protegidos por el Gobierno, lo que pasa es que no se les conocía por sus nombres reales porque se movían con pasaportes falsos sin su verdadera nacionalidad. Los vascos irían seguramente a Cuba a aprender sobre el conocimiento que tenía la isla en explosivos.
-¿Qué recibía Fidel por preparar a los guerrilleros?
-El entrenamiento era a cambio de que esta gente tuviera la oportunidad de tener una revolución como la nuestra y, según decía Fidel, de llevarles la libertad. Hubo un enfrentamiento con los rusos, ya que entre Cuba y Rusia se había firmado un pacto por el cual se aseguraba que no se ayudaría a ningún movimiento armado. Pero Fidel sí lo hacía porque esos grupos le trataban a él con respeto. Le otorgaban grandeza internacional, que era lo que él buscaba. El poder era y es lo que verdaderamente vuelve loco a Fidel. Así dedicamos más de 20 años a preparar hombres para la lucha.
-¿En qué tipo de condiciones vivían estos grupos armados?
-Primero de todo, cuando ellos conseguían entrar en Cuba, se les facilitaba una documentación falsa para moverse por el país. Una vez allí, se les alojaba en residencias en Miramar, la misma urbanización en la que viví yo y donde aún reside la alta dirigencia cubana. Todo esto estaba atendido por el Comité Central del Partido Comunista y directamente eran Fidel Castro y Manuel Piñeiro quienes daban esa atención especial a los extranjeros. También disfrutaban de los mismos privilegios que tenían los castristas. Eso sí, a ellos no se les dejaba conducir, por lo que tenían chófer propio con su coche para llevarlos a donde tuvieran que ir. Incluso los acompañaban cuando iban de fiesta a cabarés cubanos como Tropicana, a las playas, de excursión por la isla...
-¿Recibían también un salario en dólares estos terroristas extranjeros?
-Sí recibían un salario, pero yo no tengo constancia de que éste fuera en dólares. Lo que sí sé es que después del entrenamiento en Pinar del Río, que solía durar entre tres y seis meses, se les llevaba a otras residencias en La Habana, donde también se alojaban con todos los gastos pagados y se les daba, además, una ayuda de 60 pesos cubanos al mes para ir al cine o comprarse algo especial. Una vez allí, se les entregaba a cada uno una nueva documentación: una tarjeta de técnico extranjero.
-¿Cómo lograban regresar a su país?
-El departamento América les preparaba su nueva documentación falsa, porque no era nunca la suya original, para que volvieran a su país. Normalmente, los sacábamos siempre por la Unión Soviética y de ahí a Europa. Estaba todo muy bien organizado y planeado.
-¿Actualmente se continúa con estos entrenamientos o se da refugio a terroristas en Cuba?
-Ya no creo, porque Cuba ya carece de ese atractivo y de ese poder económico. Aunque, sinceramente, tampoco lo descarto. Algunos sí me consta que se han quedado allí, entre ellos vascos. Yo tuve una relación muy cercana con dos o tres de ellos porque eran amigos de mi compañero, que los entrenaba, y compartí, en varias ocasiones, mesa y mantel con ellos. Pero a Cuba también ingresaron otro tipo de gente, no sólo estos terroristas, como por ejemplo, Robert Vesco, que era un fugitivo narcotraficante americano perseguido por el Gobierno estadounidense por estafa al fisco, pero que Cuba lo puso de director de Cayo Largo. Fidel daba facilidades a este tipo de gente para vivir allí como narcotraficantes, pudiendo introducir droga en el país y obtener una fuente importante de divisas.
-A partir de este momento, cuando usted ve tanta corrupción, es cuando empieza a distanciarse de Fidel...
-Sí, pero yo no me lo podía creer. Me horrorizaba pensar que todo había sido una farsa porque como yo era analfabeto, por mi falta de educación, había sido diseñado a la forma de Fidel. Yo lo consideraba mi padre. Aún yo tenía una venda en los ojos. Entonces me destinaron a Bolivia junto al Che.
-¿Qué significó para Fidel la muerte del Che en Bolivia?
-El Gobierno cubano explicó que el Che y la guerrilla en Bolivia habían fracasado porque no obtuvieron el respaldo del Partido Comunista de Bolivia. Pero eso fue mentira. Fidel nos garantizó que allí obtendríamos la ayuda suficiente para seguir adelante con la operación, pero nos dejaron solos. Nosotros pensamos que Fidel nos había engañado, pero no nos atrevimos a hablarlo con el Che. Fidel abandonó al Che en Bolivia porque quería sentirse dueño y señor de todo el territorio cubano. El lema que siempre se había escuchado en Cuba era “Fidel, Camilo y el Che” –de Raúl nunca se hablaba–, y eso el comandante en jefe no lo podía soportar. Ahí Camilo, quien fue siempre mi tutor, y el Che firmaron su sentencia de muerte. Él no quería un segundo. Fidel nos mandó a todos nosotros y al Che a una muerte segura.
-Después de Bolivia, usted fue supervisor de prisiones de Occidente. ¿Vio torturas en las cárceles?
-Hasta que llegué a ese puesto considederaba que esas acusaciones eran completamente falsas. Pero una vez allí lo vi con mis propios ojos.

Torturas

-¿Cómo se tortura en Cuba?
-Las condiciones en las que se vive son inhumanas. Se da tres comidas al día a todo aquel preso común que está en cárcel abierta, los que tienen derecho a trabajar. Pero el que vive en cárcel cerrada, entre los que se encuentran la otra parte de comunes y los políticos, porque para el régimen no existe esa categoría; intenta sobrevivir. Hay dos cárceles conocidas como Kilo 5 (Pinar del Río) y Kilo 7 (Camagüey) que tienen dos y tres pisos subterráneos donde meten a todo preso que consideren rebelde. Ésta es una de las torturas más temidas, pero utilizadas. Allí, sólo tienen derecho a un día de sol al mes, y si se lo ganan. Si tú eres un opositor político, el régimen crea todas las condiciones para que tú caigas por una causa común y puedan llevarte entre rejas. A los que están en cárcel cerrada sólo se les da una comida al día porque consideran que, al no tener trabajo, no gastan energía. El único derecho que tienen es el de solicitar un médico, pero muchas veces se lo deniegan o se lo demoran según convenga. Yo luché para que todas estas condiciones cambiaran, como –por ejemplo– exigir que los presos tuvieran su horario de visitas y pudieran formarse. Algunos me llegaron a llamar “el papá de la cárcel”.

giovedì, maggio 27, 2010

CASTRO-VISITORS: Venimos en paz - CODIGO VENEZUELA


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L'mplosione Hugo Chavez in Venezuela continua - Jackson Diehl (WaPo, trad in italiano)

L'implosione Hugo Chavez in Venezuela continua.

Hugo Chavez ha mantenuto un profilo relativamente basso recentemente - non ci sono stati grandi tour mondiali, non accesi discorsi alle Nazioni Unite. L'amministrazione Obama, che una volta ha promesso di impegnarsi "il caudillo venezuelano, è invece tranquillamente ad emarginarlo.
C'è un motivo semplice: l'implosione di Chavez e del sedicente "socialismo bolivariano" sta accelerando.

Le cifre riportate martedi dalla controllata della banca centrale Chavez ritraggonoun'economia che è completamente fuori sincrono con il resto della regione - e forse unica al mondo nel suo grado di pericolo attuale. Il prodotto nazionale lordo è sceso del 5,8 per cento nel primo trimestre, mentre l'inflazione è rimasta al 30 per cento. Gli investimenti privati sono crollati del 27,9 per cento del capitale ha continuato a fuggire dal paese.
Ma gli economisti privati sospettano che la contrazione economica sia ancora peggiore di quello che le cifre ufficiali ammettono. Ma supponiamo che siano corretti. 
Il crash del Venezuela va paragonato ai tassi di crescita trimestrali di 8 per cento in Brasile, Argentina e Messico. Si supera comodamente il crollo della Grecia, che presenta una contrazione del 3 per cento nel primo trimestre.
L'inflazione a Caracas è il triplo il più alta che in Argentina, ed è più che doppia rispetto a quella dell'economia peggiore (Pakistan) tra le 56 monitorate da Economist sito webAnche lo Zimbabwe  sembra buono rispetto al Venezuela: si aspetta una crescita sei per cento di quest'anno, mentre l'inflazione è sotto il 5 per cento.

In breve, la ripresa economica sta prendendo piede in tutto il mondo - ad eccezione del Venezuela di Chávez.

Quando ho fatto notare a gennaio che è la rivoluzione Chavez stava crollando, un coro di blogger-ala sinistra si alzò in segno di protesta.

Gli estremisti sostengono che il Venezuela sta effettivamente facendo meglio del resto del mondo, perché Chavez sta distruggendo il malefico capitalismo male o perché l'implosione del Venezuela è irrilevante per il resto della regione.

Ma, naturalmente, il Venezuela sta davvero implodendo - e le misure disperate di Chavez per arrestarne la caduta libera possono solo fare peggio. 

Un paio di settimane fa, ad esempio, ha improvvisamente abolito il mercato privato dei cambi, che fornisce i dollari per 30 a 40 per cento delle importazioni del Venezuela. 
Il tasso di cambio dollaro era alle stelle, così il governo ha arrestato un gruppo di commercianti di valuta e ha annunciato che le vendite di dollari d'ora in poi dovrebbe essere controllato esclusivamente dalla banca centrale. Il risultato sarà quasi certamente un altro drastica riduzione delle importazioni, il peggioramento della già diffusa carenza di prodotti alimentari e beni di consumo di base, e la creazione di un nuovo mercato nero in dollari.

E, naturalmente, l'implosione del socialismo di Chavez non importa al resto dell'America Latina. 

Non è solo che l'amministrazione Obama non deve più perdere tempo con l'uomo forte, dal momento che sta facendo un ottimo lavoro di auto-distruzione.
È che che i vari clienti e imitatori del Venezuela - in particolare in Bolivia e Nicaragua - rischiamo di perdere entrambe le sovvenzioni e il mantenimento ideologico da Caracas: il tentativo decennale di Chavez di creare un blocco di paesi che la pensano in tutta la regione è a brandelli.
La popolarità del caudillo nell'America Latina di oggi è inferiore al 40 per cento, e il suo appoggio in Venezuela è sceso sotto il 50 per cento (27% seondo gli utlimi dati). 

Con le elezioni per l'Assemblea nazionale previste per questo autunno, chavez  è ricorso alla tattica iraniana di squalificare eminenti oppositori del voto. 
Cercherà di rubare le elezioni, se non funziona cercherà di spogliare il legislatore del potere.

Non importa: Chavez appare impotente a fermare il disfacimento dell'economia del Venezuela - e con essa, la sua "rivoluzione".
Gli sarà lasciata una scelta: arrendersi al malcontento di montaggio del suo paese, o regolare del tutto con la forza.

In Jackson | Diehl 26 mag 2010, 2:26 PM ET
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