Dissidenti cubani e mistificazioni italiane | |
25 Febbraio 2006 Oggi capita che accendo la televisione e guardo su Rai Tre un bel programma condotto da Corrado Augias che di solito mi piace e racconta cose interessanti. Peccato che ogni regola ha la sua eccezione e io ci finisco dentro fino al collo, ché oggi su Rai Tre parla a ruota libera il vecchio Gianni Minà e come al solito racconta di Cuba, il suo argomento preferito, parla di quel buon vecchio dittatore chiamato Fidel Castro, dice che lui è più buono di Somoza perché non ha mai ricevuto gli squadroni della morte. Bravo Fidel Castro, quasi quasi mi commuovo. E bravo anche Gianni Minà che come spalla del Comandante mi pare secondo solo a Oliver Stone. Il buon Minà ha appena pubblicato un libercolo dove elenca tutti gli attentati compiuti dagli Stati Uniti contro Cuba e in questo periodo lo vediamo su tutte le televisioni che propaganda menzogne. L’ho sentito anche l’altro giorno da Fazio che raccontava la solita novella di Cuba aggredita dagli statunitensi, di Bush che la vuole invadere, e dei cubani che vanno difesi insieme a tutte le conquiste rivoluzionarie. Tanto per capire ha detto le solite menate tipo a Cuba c’è una dittatura sì, va bene, ma vuoi mettere quant’è peggio il Nicaragua e poi a Cuba c’è la sanità e l’istruzione. Balle propagandistiche che possono andare bene per uno che Cuba non la conosce, ché ve li raccomando gli ospedali cubani, ma mica quelli per turisti che funzionano davvero, parlo degli ospedali per la povera gente, la vera conquista della rivoluzione. Gli ospedali cubani non sono quelli dove si ricovera Maradona a spese di Fidel Castro e nemmeno quelli dove potrebbe andare a finire Gianni Minà, se lo beccasse uno dei miei amici cubani che sono più incazzati con lui che con Fidel Castro. I dissidenti cubani che conosco sostengono che i giornalisti servili come Gianni Minà sono i peggiori nemici del processo di democratizzazione cubana. E poi parliamo dell’istruzione a Cuba e diciamo che la possiamo paragonare a quella che avevamo in Italia ai tempi del Minculpop. I libri di scuola raccontano che Fidel Castro (un dittatore) è l’erede di José Martí (un liberale vecchio stampo), scrittori come Cabrera Infante sono scomparsi dai piani di studio (Tre tristi tigri non lo ha mai scritto nessuno, forse è opera di un fascista spagnolo o di una spia della Cia), Lezama Lima per anni è stato vietato come un frocio pericoloso (sono piccolezze il fatto che fosse il più grande poeta latino americano) e Reinaldo Arenas è ancora oggi proibito, il marxismo è materia di studio e fino a qualche anno fa si doveva pure conoscere il russo… L’istruzione a Cuba è quella che lo Stato vuole che venga impartita, non esiste libertà di insegnamento e i programmi vengono rigidamente controllati dal regime. Per non parlare di tutto il resto, soprattutto della inesistente libertà di stampa. Mi fa parecchio incazzare che nello stesso giorno in cui il vecchio Minà snocciolava interminabili elenchi di persone che la pensano come lui (stile Fiorello quando lo imita), c’era un dissidente cubano che rischiava di finire ancora una volta in galera. Jorge Olivera Castillo (un giornalista-poeta che sarà pubblicato a marzo in Italia nel volume Versi tra le sbarre, edito da Il Foglio) ha lanciato un appello diretto alla comunità internazionale perché teme nuove repressioni nei suoi confronti. Castillo ha il visto di entrata per gli Stati Uniti dall’ottobre 2002, ma il regime non lo lascia partire per l’esilio con la sua famiglia. Ha una condanna a 18 anni di carcere per reati di opinione, dopo la primavera nera del 2003, e la sua unica colpa è quella di fare il giornalista per Cubanet e di dire le cose come stanno. Il 21 febbraio è stato convocato davanti al Tribunale Municipale dell’Avana Vecchia e gli è stato comunicato che non può allontanarsi dai confini di Ciudad Habana senza un’autorizzazione del Tribunale, non può assistere a manifestazioni pubbliche e non può uscire per feste organizzate. Per il momento nei suoi confronti vengono mantenuti gli arresti domiciliari per motivi di salute, ma il dissidente teme che presto dovrà tornare in carcere. Jorge Olivera Castillo ha chiesto l’attenzione dell’Unione Europea sul suo problema ed è stata subito inviata una rappresentanza tedesca, inglese e austriaca per parlare con i membri del Tribunale. «Sono colpevole soltanto di voler fare il giornalista secondo coscienza, senza sottostare alla ferrea censura ufficiale. Il carcere è il ventre di una rivoluzione che ha preso il nome di socialista, usurpandone principi e ideologie», ha detto Castillo. Ma sono tanti i dissidenti che soffrono ingiuste detenzioni nelle carceri di Cuba. Héctor Palacios è un altro uomo indipendente condannato a passare venticinque anni in carcere per reati di opinione. Fidel Castro non lo fa uscire di galera neppure per motivi di salute, nemmeno fosse un pericoloso criminale. Al regime non interessa se ha sessantaquattro anni e se la sua salute è cagionevole, pare che un giornalista indipendente rappresenti un grande pericolo per la stabilità della Rivoluzione. Le Biblioteche Indipendenti, che nascono a Cuba a rischio e pericolo dei loro fondatori, sono un altro fulcro della dissidenza che il regime vuole distruggere e che per certi commentatori italiani non esistono. Le Biblioteche Indipendenti non sono finanziate dalla Cia, ma dalla voglia di far conoscere tante verità ai cittadini cubani. Marta Beatriz Roque è una cubana coraggiosa che sta lavorando per creare un fronte democratico che si contrappone al governo, ma ogni giorno rischia la galera per reati di opinione. Oscar Mario Gonzales è un altro giornalista indipendente incarcerato per rappresaglia da parte delle autorità politiche cubane. Ha scritto una lettera alla moglie dove racconta che vive in mezzo all’umidità, alle zanzare, alle mosche e in un luogo insalubre e sporco. Tutte cose che per fortuna Amnesty Internacional denuncia e non vediamo cosa ci sia da scandalizzarsi se Cuba è in prima fila tra i paesi dove esistono violazioni ai diritti umani e alla libera espressione del pensiero. Minà si meraviglia di questa grande attenzione che viene dedicata a Cuba da chi è deputato a valutare le violazioni ai principi fondamentali della Carta dei diritti umani. Noi no, perché non abbiamo nessun interesse da difendere, se non quello di raccontare la verità di un paese che conosciamo bene, dove la parola libertà è solo un’utopia. Tutto questo non vuol certo dire che non esistono problemi simili negli Stati Uniti, nel Nicaragua, nel Brasile, in qualsiasi altro Stato del mondo. Ma stavamo parlando di Cuba, mi pare. Un paese che ha fatto una Rivoluzione per ottenere giustizia sociale, umanesimo e attenzione ai problemi del cittadino. Ho l’impressione che i primi ad aver capito come sarebbero finite le cose furono proprio Huber Matos e Carlos Franqui, rivoluzionari della Sierra Maestra che adesso sono in esilio e lanciano strali contro Fidel Castro. Huber Matos si fece anche diciotto anni di galera per aver tentato di dimettersi e di abbandonare una Rivoluzione che non condivideva più per la pericolosa deriva autoritaria che stava prendendo. Per non parlare di Montaner che dalle colonne de El Pais, insieme a Raul Rivero, raccontano tutte le nefandezze della Cuba castrista. Ecco, secondo me sarebbe opportuno che la stampa e la televisione italiana dessero ascolto anche a queste voci e non facessero parlare soltanto il portavoce di Fidel Castro in Italia, che pare accecato di fronte a tanta amicizia con il dittatore. Gordiano Lupi |
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