sabato, gennaio 06, 2007

TRA MARTI E BOLIVAR LO STRANO ASSE CASTRO-CHAVEZ. - LIMES, Cuba dopo Cuba

scrive Asha:Da una cache di google ho riesumato questo articolo del numero speciale di limes "Cuba dopo Cuba", uno dei pochi tentativi italiani di tentare di smontre il mito castrista.
Interessante la chiarezza dell'articolista nel delineare la natura dei rapporti castro-chavez.
La data e' dell'Aprile 2004
CUBA DOPO CUBA LIMES - RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA 4-2004

TRA MARTI E BOLIVAR LO STRANO ASSE CASTRO-CHAVEZ

di MARISA BAFILE

I leader cubano e venezuelano hanno stretto un sodalizio rivoluzionario in chiave anti-Usa. Le suggestioni peroniste di una geopolitica multipolare. Il petrolio come motore dell’alleanza. Ma L’Avana sta accumulando un enorme debito verso Caracas.

1. INCUBO E SOGNO. NELL’IMMAGINARIO popolare del Venezuela, Fidel Castro ammanta sogni di riscatto sociale o si erge come angosciante minaccia. L’amicizia plateale, sbandierata senza ritegno, del capo dello Stato Hugo Chàvez con il comandante Fidel, ha sconvolto, come un uragano, un paese che importava di tutto ma mai avrebbe pensato di poter importare la rivoluzione dalla vicina isola caraibica.

Ma è davvero nelle intenzioni di Chàvez imporre in Venezuela un regime castro-comunista, come non si stancano di ripetere i settori più conservatori dell’opposizione? Le condizioni storiche sono completamente diverse. Fidel emerge dalle ceneri di una feroce dittatura, Chàvez assume il potere con i voti di una democrazia. Fidel deve fare i conti con un mondo spaccato dalla guerra fredda, Chàvez sorge quando non ci sono più muri. Ambedue puntano il dito contro l’imperialismo degli Stati Uniti, ma mentre Cuba soffre le conseguenze dell’embargo economico, Chàvez beneficia degli introiti del petrolio di cui il colosso del Nord è il primo cliente. La rivoluzione cubana è una realtà, quella venezuelana una possibilità. Fidel è alla fine della sua vita, Chàvez può guardare al futuro. Li accomuna la stessa identificazione con eroi storici, orgoglio dei popoli, mostri sacri contro i quali non hanno il coraggio di scagliarsi neanche i loro più feroci oppositori. Per Fidel è Martí, per Chàvez Bolivar. Epiche battaglie del passato vengono ricordate e ad esse si attinge per ravvivare sentimenti patriottici impolverati dalla pigrizia del presente. Come scrive il giornalista Fausto Masó nel suo ultimo libro, Los amantes del Tango, « Bolivar e Martí rappresentano l’irrealtà venezuelana e cubana, impediscono di coltivare la politica come l’arte del possibile, e cercano nell’analisi dell’impossibile la scusa razionale per restare al potere ». La storia, rivista e riadattata, permette tutto. Masò cita il saggio dello scrittore cubano Luis Ortega che in il sogno e la distanza, a dieci anni dall’arrivo di Castro al potere, ha scritto: "Il contrasto tra la realtà e il sogno mai è stato tanto evidente come nella Cuba di oggi. Castro è naufragato in un oceano di illusioni. Cuba è una grande potenza continentale saldamente ancorata sulle nuvole".



2. Eppure il sogno di Fidel prosegue. E probabilmente l’arrivo di Chàvez alla presidenza del Venezuela ha aperto nuove frontiere a questo sogno. "Chi crede che Chàvez sia importante per Fidel solamente per il petrolio fa un grande errore. Fidel è innanzi tutto un rivoluzionario. Chàvez per lui è la possibilità, alla fine della vita, di vedere la sua rivoluzione espandersi fuori dai confini cubani, illusione mai abbandonata nonostante i tanti tentativi falliti. Il leader cubano ha sempre detto che sarebbe morto con gli stivali ai piedi. E così sarà". Alberto Garrido, storico e internazionalista, da anni studia la strategia bolivariana, le connessioni continentali, le relazioni con la guerriglia colombiana e ha scritto molti testi su questo tema.

Analizzando per noi l’amicizia tra i due leader latinoamericani, Garrido ne ripercorre le tappe. "Il Chàvez delle caserme e del golpe del 1992 non aveva nessun legame con Cuba. Le sue teorie erano una mescolanza di indigenismo, militarismo, sincretismo religioso. Dopo il fallimento del colpo di Stato Fidel sostiene Carlos Andrés Pérez (il presidente socialdemocratico in carica) e non Chàvez". "Gli anni del carcere~, prosegue Garrido, "saranno fondamentali per la creazione della strategia, tanto interna che esterna, sulla quale Chàvez fonda la sua politica attuale. Si allontana dagli amici di sempre, gli altri militari con cui aveva cucinato, durante più di dieci anni, il progetto di cospirazione ed entra in contatto con un gruppo di professori universitari, primo fra tutti l’italo-venezuelano Jorge Giordani (attuale ministro della Pianificazione economica), legati alla sinistra venezuelana. Tra loro ci sono amici storici di Fidel e dei dirigenti della rivoluzione cubana".

Ma il tenente colonnello che sogna la presidenza non ha una posizione ideologica sedimentata. È una pagina bianca ancora tutta da riempire. Gli anni di carcere lo porteranno a contatto con persone diverse. "È molto importante", spiega Alberto Garrido, "la relazione epistolare che intraprende con Raùl De Sagastizàbal, appartenente al gruppo neonazi argentino dei carapintadas capeggiato da Raùl Seineldin e Aldo Rico. Il rapporto epistolare inizia a seguito di alcune critiche al peronismo mosse da Chàvez. Raùl De Sagastizàbal, che si considera peronista, lo invita in Argentina per fargli conoscere meglio quella dottrina. In effetti, all’uscita dal carcere, nel 1994, Chàvez farà tre viaggi che segneranno il suo futuro politico. Il primo in Argentina. Lo riceve all’aeroporto la moglie di De Sagastizàbal che lo porterà a casa di Norberto Ceresole. Personaggio strano, con molti lati oscuri, Ceresole si presenta come ex montonero, ex consulente del generale peruviano Velasco Alvarado per il quale aveva fatto da ponte con l’Unione Sovietica, amico del capo dei servizi di intelligence cubani Pineiro, rivoluzionario e guerrigliero. Tace il resto. In realtà Ceresole, dopo aver preso contatti con la guerriglia marxista-leninista-trotzkista argentina, quando appare la Triple A (Alianza Anticomunista Argentina) e inizia il periodo delle persecuzioni e del massacro di oltre 30 mila persone, si trasferisce in Spagna, apparentemente in esilio. In Spagna dirige l’Istituto di studi latinoamericani, che prepara il programma del Partito della democrazia sociale, sviluppato da uno dei membri della giunta militare di Videla, Emilio Massera, legato alla loggia P2. Ceresole diventa consulente del generale Viola e quindi di quello stesso generale che stava uccidendo tanti suoi ex amici guerriglieri. Informazioni confermate nel 2000 dal gruppo Nizkor, di grande prestigio nell’ambito della difesa dei diritti umani, e che lasciano supporre che Ceresole sia stato un agente doppio offrendo ai militari informazioni sui movimenti dei guerriglieri. Di ritorno in Argentina diventa consulente dei carapintadas e in particolare di Seineldin.

Le teorie di Ceresole risultano estremamente attraenti per Chàvez. Sulla scena internazionale il consulente argentino considerava che, caduto il Muro di Berlino, l’unico modo per arginare il potere degli Stati Uniti fosse la creazione di un sistema multipolare. Ciò significava consolidare i vincoli con Brasile, Cina, Francia, Russia e sviluppare relazioni strategiche antinordamericane con i governi petroliferi di Iraq, Iran e Libia. Sul piano interno Ceresole si basava sulla teoria caudillo-esercito-popolo. Il caudillo è il leader, legittimato dalla votazione del popolo che deposita in lui il suo potere. Da li deriva lo slogan tanto caro al capo dello Stato venezuelano: "Con Chàvez manda el pueblo".

La sicurezza dell’obbedienza viene garantita dall’esercito, che diventa il partito del caudillo. Ceresole considerava i partiti politici una dispersione inutile del potere, che a suo parere doveva essere concentrato nelle mani di un solo uomo.

Chàvez assorbe queste teorie e parallelamente lavora su altri due piani: il bolivarismo e l’avvicinamento a Cuba. Il sogno di un’alleanza bolivarista lo costruisce insieme ad alcuni militari in pensione colombiani appartenenti all’M19, la vecchia guerriglia che manteneva nessi profondi con il Venezuela. Di ritorno dall’Argentina Chàvez va in Colombia. Qui nasce l’idea di un’internazionale bolivarista che si chiamerà Congreso anfictiónico bolivariano, con sede a Buenos Aires. Fino ad oggi, ha organizzato quattro grandi incontri internazionali. Al primo, svoltosi a Santa Marta, in Colombia, partecipano anche Ceresole e De Sagastizábal.

Il viaggio forse più importante Chàvez lo farà a Cuba. Lo sorprende un Fidel che lo riceve con onori da capo di Stato, gli organizza una conferenza nell’Università dell’Avana e una riunione nella Casa di Bolivar con il Comitato centrale del Partito comunista e altre personalità della rivoluzione cubana. Quell’incontro tra Fidel e Chavez getta le basi di un’importante amicizia più ancora che di una strategia comune. Amicizia che Chàvez mette in evidenza il giorno del suo insediamento come presidente, cedendo a Fidel la parola. Amicizia che Fidel coltiva accuratamente, esponendosi a situazioni certamente lontane dal suo modo di essere, come il cantare in coro con Chàvez, nel corso del suo settantacinquesimo compleanno, festeggiato in grande in Venezuela.

"Castro ha sempre guardato con attenzione al Venezuela", prosegue Garrido, "paese di grande importanza strategica in quanto è lo snodo che connette l’America del Sud con quella del Nord e tutta l’America con i Caraibi e con il Medio Oriente via Opec". L’amicizia tra i due presidenti si consolida e negli anni si moltiplicano i trattati tra i due paesi su temi come l’educazione e la salute che giustificano l’arrivo in Venezuela di circa quindicimila cubani. E soprattutto si firma un accordo energetico che garantisce la sopravvivenza dell’isola caraibica e svuota di efficacia l’embargo nordamericano. "Un accordo ad hoc in quanto già da anni sia il Venezuela che il Messico avevano firmato il Patto di San José che prevedeva la vendita di greggio, a condizioni preferenziali, ai paesi del Centroamerica e dei Caraibi", ci dice Humberto Calderòn Berti, ex ministro dell’Energia durante la presidenza di Luis Herrera Campins, considerato oggi uno dei massimi esperti in materia petrolifera. 11 primo accordo in questo senso, chiamato Patto di Puerto Ordaz, era nato durante il primo governo di Carlos Andrés Pérez.

Parallelamente, per aiutare Cuba, Pérez avviò una triangolazione con l’Unione Sovietica sfidando le diffidenze della guerra fredda. "Noi davamo 60 mila barili di greggio a Cuba per conto dell’Unione Sovietica e loro inviavano 60 mila barili alle nostre raffinerie in Germania", prosegue Calderòn Berti, "Luis Herrera ha mantenuto questa triangolazione e in più ha firmato, insieme al Messico, il Patto di San José per aiutare i paesi centroamericani e le isole dei Caraibi. Chàvez in un primo momento ha cercato di inserire Cuba in questo accordo ma si è scontrato con il rifiuto dei messicani. E allora ha inventato il Patto di Caracas, firmato con 19 paesi del Centroamerica e dei Caraibi, compresa Cuba. Esso prevede una fornitura quotidiana di 53 mila barili di greggio e prodotti lavorati. Cuba importa innanzi tutto prodotti lavorati, più costosi, mentre le spese di trasporto sono a carico venezuelano. Inoltre Castro può rivendere, come in effetti sta facendo, il petrolio fuori dai suoi confini. Le condizioni di pagamento: l’80% a 90 giorni e il rimanente finanziato a 20 anni. Un accordo estremamente generoso, ma che non avrebbe suscitato tante critiche se Cuba stesse pagando. Non è così. il debito accumulato fino ad oggi per il petrolio che dovrebbe essere pagato a 90 giorni supera i 600 milioni di dollari. Debito che ha come sostegno titoli della Banca centrale cubana che non sono nvendibili sui mercati monetari. E quella del petrolio è solo una parte del debito che l’isola di Castro ha con il Venezuela. Non esistendo alcun controllo non abbiamo cifre ufficiali, ma secondo le nostre informazioni Cuba ha un debito accumulato con il Venezuela di 2 mila milioni di dollari. Una cifra esorbitante se consideriamo le condizioni di povertà della popolazione venezuelana, il tasso di disoccupazione che è saltato dall’li al 200/o e le disastrose condizioni della sanità, dell’educazione, dei trasporti eccetera".



3. Arguzia politica di Castro e ricchezze del Venezuela, paese le cui riserve di idrocarburi superano la somma di quelle di tutta l’America Latina: un binomio perfetto per sviluppare quello che Chàvez chiama l’asse rivoluzionario bolivarista. Si moltiplicano i collegamenti con la sinistra dura latinoamericana e caraibica da una parte e quella mondiale dall’altra. Connessioni con i gruppi guerriglieri colombiani Farc ed Eln appaiono evidenti quando il Venezuela non firma la Dichiarazione di Asunciòn nella quale Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay, Argentina e Bolivia sostengono Alvaro Uribe nella sua lotta contro là guerriglia. Stralci di interviste realizzate a capi storici delle Farc come il comandante Ariel o il comandante Raùl Reyes lasciano intuire i nessi tra i guerriglieri colombiani e il governo venezuelano. Il comandante Ariel ha detto al giornalista Fernando Olivares Méndez: "Le Farc sono una forza bolivarista e quando prenderemo il potere il bolivarismo sarà l’ideologia del nuovo Stato. La Colombia diventerà una repubblica bolivansta".

"A giugno dello scorso anno", ci dice lo storico Albeito Ganido, "Chàvez ha organizzato una riunione con il gruppo dirigente del Congreso anficti6nico bolivanano al quale hanno partecipato il settore Athos Fava del Partito comunista argentino, un’organizzazione denominata Patria Libre e un’ala dei piqueteros chiamata Los Barrios de Pie. Ragione fondamentale: passare dalla propaganda ad una fase più concreta. Sorge così una nuova organizzazione, il Congresso bolivarista dei popoli. Nasce ufficialmente a novembre del 2003 e riunisce più di cinquanta organizzazioni dell’America Latina e dei Caraibi. La segreteria politica è composta dai circoli bolivaristi venezuelani, dal Partito comunista cubano, dal movimento dei Sem Terra, dai piqueteros, dal Pachacutec ecuadoriano, dal Mas di Evo Morales e dal Farabundo Marti del Salvador. Tre i nemici da abbattere: l’Alca (l’Area di libero scambio delle Americhe), il Plan Colombia e l’embargo a Cuba" .

Un piano che preoccupa gli Stati Uniti e diventa una minaccia destabiizzatrice per gli altri governi dell’America Latina. Ma Chàvez ha in mano una potente arma di ricatto: il petrolio. Arma che riesce a bloccare anche i nemici più pericolosi all’interno degli Stati Uniti. "Ogni volta che qualcuno, in seno al Dipartimento di Stato o al Congresso degli Stati Uniti, vorrebbe prendere una posizione più drastica rispetto al Venezuela, viene bloccato dalle lobby del petrolio e delle banche (Chàvez paga regolarmente il debito estero)", precisa Alberto Garrido, "sono le regole di quello che Kerry ha chiamato lo Stato corporativo. Il petrolio è un’arma che zittisce anche le perplessità di altri governi".

"È la prima volta nella storia del Venezuela", spiega Calderòn Berti, "che il petrolio viene usato come arma di ricatto. Senza porsi alcuno scrupolo Chàvez ha già bloccato una volta le forniture alla Repubblica Dominicana, accusata di dare asilo a Carlos Andrés Pérez, e ha minacciato apertamente il Costa Rica. Minaccia che spaventa tutti".

Lo storico Sadio Garavini analizza le possibilità di influenza ideologica della rivoluzione cubana o di quella bolivarista sulle popolazioni centroamericane e delle isole. "In altre parti del mondo il modello comunista ortodosso si è sbriciolato davanti a realtà ineluttabili. La storia dei paesi al di qua e al di là del Muro parla da sola. In America Latina queste dimostrazioni non sono così facili. Le disuguaglianze sociali sono le più profonde del mondo. È ovvio che chi guarda al modello cubano può affermare che lì le condizioni di vita dei cittadini sono di gran lunga migliori di quelle di Haiti, Honduras o di altri paesi centroamericani. Ciò che conta per le persone che ogni giorno muoiono di stenti in nazioni piene di ricchezze è che a Cuba ti garantiscono almeno la sopravvivenza".

In fondo è il messaggio che fa arrivare Chàvez quando, invece di investire in una rete sanitaria efficiente, preferisce mandare i suoi cittadini a Cuba e mostrare loro il lato chiaro della luna. Ma il presidente venezuelano, nel suo delirio bolivarista, non aveva mai messo in conto la resistenza con cui si sarebbe scontrato. Resistenza di una popolazione abituata fino ad allora all’indifferenza, con scarsa preparazione politica e quindi, in apparenza, facilmente manipolabile. Né forse aveva immaginato lo scontro con la maggior parte dei partiti di sinistra, quella sinistra democratica che in Venezuela ha radici profonde, incarnata soprattutto dal Mas (Movimiento al socialismo), un partito riformista democratico nato ai tempi della guerra fredda, con posizioni critiche nei riguardi sia della politica nordamericana che di quella sovietica, e che seppe subito prendere le distanze da Cuba.

Oggi il ruolo della sinistra democratica è tornato ad essere rilevante. Leader del Mas come Felipe Mujica, o di Union, partito sorto da una scissione del Mas, come Pompeyo Màrquez, sono voci importanti all’interno della Coordinatrice democratica, coalizione di partiti e Ong che si oppone alle aspirazioni del presidente Chàvez ma tenta di contenere le spinte della destra golpista. Una destra assottigliata da errori come il tentativo di golpe del 2002 e lo sciopero petrolifero, che le hanno fatto perdere molti sostenitori. La partita è aperta. Da una parte ci sono le spinte egemoniche dell’ala più reazionaria e militarista degli Stati Uniti, dall’altra l’asse bolivarista e socialista di Castro e Chàvez. In mezzo, popolazioni piegate da disuguaglianze sociali profonde come voragini per le quali la sinistra riformista, vicina alle posizioni di Lula, vorrebbe riforme concrete, lasciando al passato i ricordi epici dei grandi eroi per costruire un futuro orientato sulla politica del possibile.